A Sant’Eugenio, festeggiato dalla parrocchia di Tornavento i1 30 dicembre, che sarebbe stato vescovo transalpino del sec. VIII e difensore del rito ambrosiano secondo tradizioni medievali che oggi la critica non accoglie benevolmente, risultano dedicate cinque chiese e due altari nel contado milanese (in Mediolanensi pago) sul finire del XIII secolo secondo il “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani” del Bussero, che in questo caso non si preoccupa di fornire le ubicazioni. Il fatto che Tornavento compaia in carte trecentesche come “locus” della pieve di Dairago, non è sufficiente per concludere che il piccolo nucleo abitato avesse già una sua chiesina o cappella.
Una “capella de Tornavento”, sempre in pieve di Dairago, è comunque indubbiamente attestata nel 1398 dalla “Notitia cleri”. Un edificio consentiva la celebrazione periodica (almeno festiva) di messe in Tornavento sulla base di un legato, certamente motivato dalla lontananza del luogo sia da Lonate che da Nosate. Non risulta chi lo abbia istituito. Qualche notizia per i secoli XIV-XV sull’abitato di Tornavento e sulla sua chiesa, con ogni probabilità già dedicata a S. Eugenio, potrà affiorare dalle carte antiche, soprattutto notarili, se si compirà una ricerca mirata.
Noi sappiamo che, al tempo della visita pastorale del cardinal Carlo Borromeo, Tornavento era una “cascina” dipendente dalla cura di Lonate, quindi in pieve di Gallarate. Sappiamo che i Borromeo nel 1570 tracciò alcune prescrizioni per la chiesa di S. Eugenio, tali da darci un’idea sullo stato dell’edificio: “Si provegga di pietra sacrata grande …, la bradella si facci grande, la soffitta della chiesa s’accomodi che sii ben chiusa, almeno sopra l’altare, si levino fuori di chiesa quelle figure profane di legno ripòsteli, si tenghi serrata dal cappellano se non mentre vi si celebreri la messa”.
Nel 1574 Tornavento, “villa del magnifico signor Giovanni Marco Della Croce”, contava 31 abitanti, divisi in tre “fuochi” o famiglie e altrettanti cortili.
Nel 1596 la cascina di Tornavento contava solo 13 abitanti, cui bastavano due sepolcri comuni interni alla chiesa. La chiesa di S. Eugenio, piccola, con soffitto non perfettamente sistemato, con pareti in parte dipinte, in parte soltanto intonacate, dotata di confessionale e di acquasantiera, aveva l’altare “in capo alla chiesa” ad ovest, chiuso da cancellata di legno e sovrastato da un crocifisso dipinto sulla parete, la porta d’ingresso ad est, affiancata da due finestre basse con inferriata, una finestra grande e quadrata sul lato meridionale. Aveva una campana, ma non la sacrestia, bastando custodire la poca suppellettile scranni o cassapanche (in sedilibus ligneis). Vi si celebrava ogni domenica per legato del signor Pompeo Della Croce. L’edificio recava sulle pareti i segni della consacrazione, probabilmente effettuata non molto tempo prima in seguito a una ristrutturazione di esso, risultando disatteso il tradizionale “orientamento” medievale delle chiese e delle cappelle. Cappellano di S. Eugenio dopo il 1596 fu Giovan Battista Ferrario.
La situazione si manteneva sostanzialmente identica nei 1622, quando il visitatore ecclesiastico precisava che l’altare – sempre a ponente – era situato non dentro una cappella o nicchia ma sotto un semplice baldacchino, che sulla parete dell’altare erano dipinti i santi Eugenio e Caterina ai lati dei crocifisso, che altre figure di santi erano dipinte sulla parete settentrionale della chiesa ma non sulla meridionale, che presso la cancellata di legno antistante l’altare erano gli scranni dei patroni Della Croce. Il pavimento – lasciò scritto il visitatore – era alquanto dissestato, la chiesa non era preceduta da atrio o portico, sosteneva la campana della chiesa un arco costruito sull’angolo settentrionale della facciata. Si celebrava ogni domenica e nel giorno di S. Eugenio – a cura del cappellano Scala di Sarzana – in adempimento del legato di mille scudi d’oro istituito nel 1605 da Ferdinando Della Croce, arcidiacono del Duomo di Milano.
Nel 1625 il manzoniano cardinal Federigo Borromeo invitava a porre sopra l’altare due gradini o ripiani di noce dorati per la croce e i candelieri, a sistemare il soffitto e i sepolcri, ad imbiancare le pareti, ad alzare le finestre nella facciata, a costruire la sacrestia. Certamente trovarono poco da saccheggiare le truppe francesi ne1 1636 nei giorni della battaglia che prende nome da Tornavento e che le vide contrapposte alle truppe di Spagna.
Perfezionarono il legato dell’arcidiacono a favore di Sant’Eugenio “in capsina Tornaventi” i sacerdoti Diomede ed Orazio Della Croce nel 1644, vendendo terreni in Magnago e comprandone a Tornavento per formare o, meglio, potenziare il patrimonio del cappellano pro tempore, cui si assegnava per abitazione una casa che sarebbe poi stata ceduta nel 1880 alla famiglia Parravicino. Cappellano nel 1689 era Ercole Gomez, di evidente cognome spagnolo; dal 1707 Giovanni Cesare Della Croce, poi Giovanni Maria Giudici; negli anni 1714-1716 Andrea Pinza; dal 1731, eletto dai patroni Della Croce, il chierico Carlo Cardani.
Nel 1684 l’oratorio di Sant’Eugenio misurava 15 x 10 braccia, cioè poco meno di 9 x 6 metri. Il catasto di Maria Teresa del 1722-53 dà un’idea precisa dell’abitato di Tornavento, costituito di poche case ed orti di proprietà dei signori Della Croce, delle monache lonatesi di S. Agata, del nobile Paolo Parravicino che vantava anche un giardino grande più di 4 pertiche. Sulla piazzetta a sud dell’abitato è disegnata la chiesa, che sembra ormai dotata di altare a levante. Il card. Pozzobonelli, in visita nel 1750, rilevava che l’oratorio, pur piccolino (perexiguum), aveva l’altare “dentro una cappella” o nicchia. Tutti i sacerdoti di Lonate, che allora erano quasi una decina, confluivano a Tornavento i1 30 dicembre, festa di S. Eugenio, per la messa cantata, e il giorno seguente per un ufficio funebre.
Dalla carta teresiana e dagli atti della visita del Pozzobonelli si può dedurre che l